Giovanni De Lisi, Ceo di Greenrail, ha brevettato traverse ferroviarie riciclando plastica e gomma. E dagli Usa arriva una commessa da 75 milioni
DI LUCIO LUCA

ROMA. A 19 anni decise di abbandonare gli studi: “Andai in ufficio da mio padre, pensavo la prendesse male. Gli spiegai che il mio sogno era quello di fare impresa, che il pezzo di carta non sarebbe servito a niente e che, anzi, avrebbe rallentato la mia carriera. Insomma, visto che avevamo un’azienda di famiglia, volevo provare a portarla avanti. Mio padre non fece una piega: ok – mi disse – presentati la prossima settimana in cantiere, a Busto Arsizio. Mettiti a disposizione del capo mastro e buona fortuna”.

Giovanni De Lisi, palermitano, non si aspettava certo un “battesimo” del fuoco così duro: “Capirai, ero il figlio del padrone, mi vedevo già al calduccio, in ufficio, con tanto di segretaria. Invece il mio turno cominciava a mezzanotte e finiva alle sei del mattino e montare d’inverno traverse ferroviarie sotto la neve è stata una fatica pazzesca. Ma se oggi sono qui a festeggiare una commessa da 75 milioni di euro e il titolo di startup migliore d’Italia lo devo tutto a mio padre e alla lezione di vita che mi diede quella mattina di tredici anni fa”.

Giovanni è il Ceo di Greenrail, la startup che ha brevettato in 79 Paesi di tutto il mondo la prima traversa ferroviaria ecosostenibile realizzata con plastica e pneumatici riciclati. Una miscela in grado di sostituire il tradizionale calcestruzzo e, soprattutto, di ridurre al minimo l’impatto con l’ambiente: “L’idea – sembra incredibile ma è andata davvero così – è nata grazie a un documentario in tv. Raccontava l’esperienza di un’azienda americana che aveva brevettato un particolare tipo di traversa ferroviaria recuperando soltanto la plastica.

Un progetto interessante, certo, ma che non mi aveva convinto del tutto. Questo tipo di prodotto – spiega De Lisi – avrebbe potuto sostituire le traverse in legno, un segmento che rappresenta appena il 10 per cento di mercato al mondo. Troppo poco, ci voleva qualcosa che prendesse il posto del cemento, quello sì che avrebbe funzionato. Mi sono messo a studiare, ho spulciato migliaia di siti per capire quale sarebbe potuta essere la soluzione. Alla fine, però, è arrivata la folgorazione e da quel giorno la mia vita è cambiata”.

Greenrail partecipa a Shark Tank, un contest tra startup su Mediaset, e Giovanni rifiuta persino un milione di euro di un investitore per cedere la sua idea: “Ero certo che l’azienda valesse molto di più – spiega – All’epoca mi presero per pazzo, ma col senno di poi…”. Il senno di poi è presto detto: prima il finanziamento di 3,5 milioni a fondo perduto nell’ambito del programma Horizon 2020, poi la selezione tra i cento progetti più innovativi al mondo e la partecipazione all’Expo 2017 di Astana. A novembre il premio come migliore startup dell’anno e infine la chiusura del primo contratto con SafePower1, una società americana che per industrializzare e commercializzare i prodotti Greenrail ha sborsato 26 milioni di euro che svilupperanno royalties per un valore superiore ai 75 milioni di euro: “Quando ho firmato quel contratto mi è passata davanti tutta la mia vita – racconta De Lisi – A cosa ho pensato? Forse a quel professore di Ingegneria che alle lezioni di Analisi 1 si presentava con un cartello: “Minimo 7″. Voleva dire che per passare la sua materia bisognava provarci almeno sette volte… Meno male che mi sono messo a lavorare quasi subito, avrei perso soltanto tempo all’Università”.

Dopo il contratto americano, Greenrail ha in piedi trattative in Cina, Arabia Saudita, Francia e Kazakistan. E l’Italia? Mister startup lavora con mezzo mondo ma fatica a imporsi nel suo Paese: “Non è una novità – sospira – purtroppo il sistema italiano non è pronto ad affrontare le innovazioni. Non si dà fiducia ai giovani, si preferisce sperperare il denaro in soluzioni obsolete salvo poi lamentarsi della fuga dei nostri cervelli migliori. Io, che lavoro con i treni e vengo dalla Sicilia, non posso non pensare al fatto che per andare da Palermo a Siracusa ci vogliono sei o sette ore e mi viene lo sconforto. Abbiamo linee ferroviarie da terzo mondo ma non dispero: magari prima o poi la situazione cambierà e riuscirò a lavorare anche nella mia terra. Sarebbe un altro sogno che si avvera”.